Una sentenza della Corte di giustizia europea sui giochi a premio

958

Regole più rigorose per contrastare i messaggi ingannevoli

 

Su questo sito ci siamo interessati più volte del fenomeno delle pratiche commerciali scorrette in materia di concorsi e giochi a premio, invitando a prestare la massima attenzione ai messaggi pubblicitari ingannevoli (leggi questa scheda generale ed alcune recenti decisioni assunte dall’Autorità garante della concorrenza riguardanti  T-Plus , Buongiorno e Wind  , David 2 e Vodafone ). Una sentenza della Corte di giustizia europea ci consente di tornare su questo argomento 1.

La decisione della Corte trae origine da un’iniziativa dell’Office of Fair Trading (l’Autorità britannica che vigila sulle pratiche commerciali sleali) che ha portato la Hight Court a giudicare scorretti i messaggi pubblicitari di cinque imprese britanniche con i quali il consumatore veniva informato di aver vinto un premio (lettere indirizzate individualmente, tagliandi tipo “gratta e vinci” ed inserti contenuti in giornali e periodici). Per reclamare il premio il consumatore poteva chiamare un numero a tariffa maggiorata (con informazioni sul costo della chiamata), inviare un messaggio di testo o richiedere l’informazione via posta ordinaria. Di fatto, i consumatori erano incoraggiati a usare la via più costosa invece di quella postale, in quanto a quest’ultima era dato minore rilevo (in una delle promozioni,  almeno l’80% dei consumatori partecipanti aveva risposto usando il telefono o i messaggi di testo). In alcuni casi il consumatore doveva sostenere un costo aggiuntivo per la consegna e l’assicurazione, parte del quale era utilizzato dal promotore per finanziare il costo di acquisto dell’articolo richiesto, e oltre il 99% di coloro che reclamavano un premio avevano diritto a ricevere i premi più comuni, il cui valore equivaleva in pratica a una parte consistente di quanto già pagato in spese telefoniche o per messaggi di testo, oppure in spese fissate per la consegna e l’assicurazione.

Le aziende hanno presentato ricorso e la Court of Appeal – England and Wales ha posto il problema della corretta interpretazione della disciplina comunitaria ed in particolare della disposizione che vieta di dare “la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto, vincerà o vincerà compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti … non esiste alcun premio né vincita equivalente oppure qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore2. In particolare, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte se tale disposizione vieta di imporre un costo, anche se irrisorio, ad un consumatore al quale sia stato comunicato di aver vinto un premio.

La Corte di Giustizia effettua una ricostruzione sistematica della normativa comunitaria in materia di pratiche sleali, sottolineando che la certezza del diritto è un elemento essenziale per il corretto funzionamento del mercato interno, a tutela dei consumatori e, indirettamente, degli operatori concorrenti. Proprio per conseguire tale obiettivo il legislatore ha raggruppato nell’allegato I della direttiva 2005/29/CE le pratiche commerciali che sono considerate in ogni caso sleali e che, pertanto, non richiedono una valutazione caso per caso ai sensi di quanto disposto dagli articoli 5-9 della direttiva stessa.

La Corte precisa che la disposizione in esame deve essere interpretata nel senso di vietare le pratiche aggressive con cui il professionista dà al consumatore la falsa impressione di aver già vinto un premio, quando invece, per ottenere informazioni in merito alla natura del premio o per entrarne in possesso, deve versare del denaro o sostenere un costo di qualsiasi natura. Per tutelare in modo efficace il consumatore medio è necessario preservare l’integrità della nozione di “premio” interpretando la direttiva nel senso che un bene per il quale il consumatore è tenuto a effettuare un pagamento di qualsiasi natura non può essere qualificato come premio.

Non ha importanza, a tale riguardo, che il costo accollato al consumatore sia irrisorio rispetto al valore del premio, o tale da non procurare alcun vantaggio al professionista (ad es. il costo di un francobollo). Sottolinea la Corte che il fatto di vietare ai professionisti di accollare al consumatore un costo anche di minima entità non rende impossibile l’organizzazione di tali attività promozionali, in quanto il professionista potrebbe prevedere una limitazione geografica per quanto riguarda la partecipazione al concorso o all’attività promozionale, al fine di limitare i costi che egli deve sostenere e che sono legati allo spostamento del consumatore e alle formalità necessarie affinché quest’ultimo prenda possesso del premio. Il professionista potrebbe anche tener conto, al momento in cui determina il valore dei premi da distribuire, delle spese di comunicazione e di consegna che dovrà sostenere.

Altrettanto irrilevante è che le azioni volte a reclamare un premio possano essere realizzate seguendo diversi metodi, di cui almeno uno a titolo gratuito: il divieto di imporre un costo ha carattere assoluto perché è la prospettiva stessa di prendere possesso del premio che influenza il consumatore e può indurlo a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti preso, come quella di scegliere il metodo più rapido per conoscere il premio vinto, quando invece tale metodo può essere quello che comporta il costo più elevato. Secondo la Corte questo tipo di pratica sleale sfrutta l’effetto psicologico provocato dalla comunicazione della vincita di un premio, al fine di indurre il consumatore a effettuare una scelta che non è sempre razionale, come quella di chiamare un numero di telefono a tariffa maggiorata per informarsi della natura del premio, effettuare uno spostamento costoso per prendere possesso di un servizio di stoviglie di modico valore o pagare spese di trasporto di un libro che già possiede.

Spetta al giudice nazionale valutare le informazioni fornite dal professionista ai consumatori ai quali le pratiche sono dirette, tenuto conto del grado di accessibilità, del carattere leggibile, della chiarezza e della comprensibilità del testo: tutto ciò al fine di identificare con esattezza le caratteristiche del premio e le condizioni per poterne usufruire.

Si riporta qui di seguito il dispositivo della sentenza.

Il punto 31, secondo trattino, dell’allegato I alla direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») deve essere interpretato nel senso che esso vieta le pratiche aggressive con cui un professionista, come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, dà la falsa impressione che il consumatore abbia già vinto un premio, quando invece il compimento di un’azione volta a reclamare il premio, che si tratti di una richiesta di informazioni relativa alla natura di tale premio o della presa di possesso dello stesso, è subordinato all’obbligo, per il consumatore, di versare del denaro o di sostenere un costo di qualsiasi natura.

È irrilevante che il costo imposto al consumatore, come il costo di un francobollo, sia irrisorio rispetto al valore del premio, o non procuri al professionista alcun vantaggio.

È del pari irrilevante che le azioni volte a reclamare un premio possano essere realizzate attraverso diversi metodi proposti dal professionista al consumatore, dei quali almeno uno sia gratuito, quando uno o più dei metodi proposti presuppongono che il consumatore sostenga un costo per informarsi sul premio o sulle modalità per ottenerlo.

Spetta ai giudici nazionali valutare le informazioni fornite ai consumatori alla luce dei considerando 18 e 19 della direttiva 2005/29, nonché dell’articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della stessa, tenendo conto cioè della chiarezza e della comprensibilità di tali informazioni da parte del pubblico al quale la pratica è diretta.

6 novembre 2012



1 Vedi la sentenza del 18 ottobre 2012, causa C-428/11.
2 Cfr. il punto 31 dell’allegato I della direttiva 2005/29/CE riguardante le pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali. Analogamente, il nostro codice del consumo considera pratica aggressiva “lasciare intendere, contrariamente al vero, che il consumatore abbia già vinto, vincerà o potrà vincere compiendo una determinata azione un premio o una vincita equivalente, mentre in effetti non esiste alcun premio nè vincita equivalente oppure che qualsiasi azione volta a reclamare il premio o altra vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore” (art. 26, lett. h).