No alla pubblicità sessista

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 Sono necessarie nuove iniziative contro il dilagare delle pubblicità volgare ed offensiva

 Segnaliamo volentieri un intervento molto interessante di Anna Maria Testa che affronta nuovamente il tema, assai complesso, della pubblicità sessista e delle modalità con le quali va combattuta. Il proliferare di immagini pubblicitarie nelle quali il corpo della donna, più o meno svestito o ammiccante, viene associato ad un numero elevatissimo di prodotti (dallo yogurt al telefonino) trova sicuramente le sue ragioni di fondo in una permanente situazione di arretratezza culturale: non a caso le campagne pubblicitarie realizzate in Italia da alcune multinazionali sono diverse da quelle diffuse in altri Paesi europei. E a tale situazione concorrono tutti i media,  a partire dalla televisione (che tuttora svolge un ruolo rilevantissimo nella riproposizione degli stessi stereotipi femminili) per arrivare ai videogiochi e ai videoclip, legittimando così il perpetuarsi di modelli culturali arcaici.

Una funzione importante la svolge anche la pubblicità, con i suoi mille “pezzi” prodotti ogni giorno, ed una frequente rappresentazione della donna come oggetto sessuale a fini di promozione commerciale. E’ difficile ipotizzare in questo campo un’attività di “controllo”  affidata ad un organismo statale che operi con metodi analoghi a quelli positivamente sperimentati dall’Antitrust per valutare l’ingannevolezza dei messaggi pubblicitari: su questo punto le stesse indicazioni provenienti dal Parlamento europeo sugli stereotipi di genere (vedi le risoluzioni del settembre 2008 e del marzo 2013) sono assai generiche 1. Andrebbe invece rafforzato il ruolo dell’Istituto per l’Autodisciplina pubblicitaria, che già svolge una valutazione tempestiva anche dei messaggi contrari alla dignità della persona, bloccando le campagne sessiste o offensive; però ancor oggi in pochi conoscono questo organismo e la sua attività ed il codice di autodisciplina non gli attribuisce poteri sanzionatori: si potrebbero ipotizzare non solo multe ma anche nuove “sanzioni” che vadano a colpire l’immagine dell’azienda, come ad esempio la diffusione delle delibere dello IAP sui maggiori mezzi di comunicazione: tutto questo sembra in linea con le indicazioni comunitarie 2. Ma Anna Maria Testa mette in evidenza anche un altro aspetto che non va assolutamente sottovalutato: quello della riproduzione all’infinito sul web anche di immagini scomparse dai mezzi di comunicazione “classici” in seguito a provvedimenti dello IAP oppure per la loro limitatissima diffusione territoriale:  in questo modo campagne pubblicitarie becere e degradanti finiscono con avere un’enorme e duratura visibilità. E’ chiaro che quando si parla di internet è facile temere forme illegittime di “censura”: ma la sottrazione del web a qualsiasi regola è comunque una sconfitta e porta a distorsioni enormi.

Vanno richiamate alle loro responsabilità le aziende, molto attente ad una pubblicità che “funziona” in termini di profitti. In questa direzione potrebbero fare di più anche i pubblicitari, dalle cui schiere sono scaturite iniziative molto interessanti 3, proponendo con maggiore convinzione contenuti innovativi che possano piacere ai destinatari finali dei messaggi e costituiscano perciò un’alternativa “concreta” per le aziende stesse: sarebbero utili anche attività di formazione dei futuri operatori del settore 4

Si tratta di svolgere un’imponente opera di sensibilizzazione a tutti i livelli, a cominciare dalle scuola e dalle università, contro l’utilizzo di immagini degradanti della donna. In questo contesto deve assolutamente proseguire e rafforzarsi l’azione di monitoraggio e critica svolta nella Rete nei confronti della pubblicità sessista, in modo da accompagnare l’opera di denuncia e dissuasione con quella di promozione di modelli culturali differenti: ricordo tra tutti il sito Dis.amb.iguando che dedica un’apposita sezione alla denuncia delle le pubblicità volgari o offensive.



1 Il Parlamento europeo “invita gli Stati membri a provvedere con idonei mezzi affinché il marketing e la pubblicità garantiscano il rispetto della dignità umana e dell'integrità della persona, non comportino discriminazioni dirette o indirette né contengano alcun incitamento all'odio basato su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, e non contengano elementi che, valutati nel loro contesto, approvino, esaltino o inducano alla violenza contro le donne”.

2 In base alle le raccomandazioni del Parlamento europeo, si “invita la Commissione, gli Stati membri, la società civile e gli organismi di autoregolamentazione nel settore della pubblicità a collaborare strettamente al fine di contrastare tali pratiche, segnatamente utilizzando strumenti efficaci che garantiscano il rispetto della dignità umana e l'integrità del marketing e della pubblicità”.

3 Da citare, in particolare il Manifesto deontologico, promosso nel 2011 dall’Art director club italiano.

4 Il Parlamento europeo “ritiene che gli Stati membri dovrebbero ufficializzare l'aggiudicazione di un premio da parte dell'industria pubblicitaria ai propri appartenenti e di un premio da parte del pubblico per i messaggi pubblicitari che si allontanano maggiormente dagli stereotipi di genere per dare un'immagine positiva e valorizzante delle donne, degli uomini e dei rapporti fra i due sessi”.