Si conclude con le sentenze del Consiglio di Stato la procedura di infrazione del Trattato europeo promossa dall’Antitrust
Nel corso del 2007 e del 2008 si sono registrati in Italia significativi aumenti del prezzo della pasta praticati da quasi tutti i produttori, sia quelli di maggiori dimensioni (come la Barilla, che detiene una quota pari a circa il 40% del mercato italiano) sia quelli di medie o piccole dimensioni.
Nel febbraio del 2009, l’Autorità garante della concorrenza del mercato, al termine di una lunga e complessa indagine 1, ha verificato che tale aumento poteva solo in parte attribuirsi all’incremento del costo della materia prima, come sostenuto dai produttori di pasta; esso era invece dovuto soprattutto a due intese tra gran parte dei produttori e le loro associazioni di categoria (Unione industriale pastai italiani e Unione nazionale della piccola e media industria alimentare), volte a determinare un aumento generalizzato del prezzo della pasta su tutto il territorio nazionale.
L’Antitrust ha giudicato tale intesa in contrasto con l’art. 81 del Trattato dell’Unione europea, che vieta accordi tra imprese e tra le loro associazioni finalizzati a “impedire, restringere o falsare la concorrenza” all’interno del mercato comune europeo e, in particolare, a “limitare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita” 2.
Conseguentemente, l’Agcm ha disposto la cessazione di tali intese e ha comminato sanzioni complessive per circa 11 milioni di euro, quantificate in modo differente tra i 26 produttori di pasta e le due associazioni di categoria, in relazione al ruolo svolto nella realizzazione degli accordi e nel monitoraggio sulla loro puntuale e diffusa attuazione. La sanzione più elevata è stata comminata alla Barilla (5,7 mln di euro), seguita dalla De Cecco (1,4 mln di euro), dalla Divella (1,2 mln di euro), dalla Colussi (0,74 mln di euro), Rummo e Garofalo (0,47 mln di euro per entrambe), Amato (0,36 mln di euro) e via via tutte le altre.
Ai fini della quantificazione delle sanzioni, l’Agcm ha tenuto conto anche dell’attuazione data da talune aziende agli impegni di riduzione dei prezzi presentati, anche se giudicati inadeguati dalla stessa Agcm.
I produttori di pasta ed le loro associazioni di categoria hanno fatto ricorso al Tar, che nel dicembre del 2009 ha giudicato non fondate le argomentazioni delle aziende 3. In particolare, il TAR ha concordato con le tesi dell’Agcm riguardanti:
– l’esistenza di adeguata prove documentali e di indizi precisi a supporto della tesi di una concertazione tra le aziende del settore per coordinare la politica dei prezzi della pasta e il carattere “anticoncorrenziale” degli accordi;
– la capacità delle associazioni di categoria di rappresentare un punto di riferimento attivo, necessario per realizzare un aumento concordato e generalizzato dei prezzi, pur in presenza di un mercato assai frazionato (a causa della presenza nel settore di oltre 100 aziende);
– le responsabilità delle aziende, concretizzatesi sia nella partecipazione a numerose riunioni (allargate o ristrette), sia nei comportamenti assunti in coerenza con gli accordi definiti dalle imprese del settore o nella mancata denuncia del loro carattere illecito;
– la necessità di un rigetto degli impegni di riduzione dei prezzi presentati da alcune aziende, in ragione di intese volte a restringere in modo grave la concorrenza nel settore.
Nel 2011, il Consiglio di Stato, pronunciandosi in modo definitivo sui ricorsi delle aziende, ha confermato le argomentazioni dell’Antitrust, limitandosi a ridurre l’entità delle sanzioni comminate a tre società: la Tandoi (da 359.000 euro a 180.000 euro circa), la Chirico (da 152.000 euro circa a 10.000 euro) e la Liguori (da 96.000 euro a 48.0000 euro) 4.
La decisione dell’Antitrust, autorevolmente confermata dal Tar del Lazio e dal Consiglio di Stato, costituisce un importante esempio di contrasto alle intese delle imprese ai danni dei consumatori, in violazione della normativa comunitaria e nazionale.
14 gennaio 2010 (aggiornamento del 19 settembre 2011)