I dati personali possono essere merce commerciale?

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La digitalizzazione è oramai un tema che da tempo affascina la maggior parte delle componenti sociali, sia per le sue infinite applicazioni pratiche sia, soprattutto, per le implicazioni latu sensu politiche che ne derivano. Si è visto come la questione del trattamento dei dati personali, conseguenti alla digitalizzazione delle più varie attività professionali e personali, abbia una rilevanza di primo piano, in quanto corollario al diritto alla privacy di ogni individuo/utente.

Parlando di dati ci si addentra infatti nel vasto, vastissimo mondo della collezione e conservazione degli stessi, argomento già affrontato, ma che è e continua ad essere oggetto di analisi anche da parte delle autorità.

La così detta Data Economy, ossia l’economia dei dati reale, basata sulla capacità dei fornitori del servizio online di gestire la mole crescente di informazioni digitali, ha ripercussioni ed impatti che ad oggi sono (più o meno limpidamente) sotto gli occhi degli utenti.

Le potenzialità della data economy investono ed investirebbero, secondo la maggior parte degli studi, lo sviluppo economico del sistema Paese garantendo, sia nel pubblico sia nel privato, una più fluida, immediata ed accessibile dinamicità tra il classico rapporto domanda-offerta del sistema economico in generale.

Come si è visto però, le implicazioni nel trattamento dei dati investono anche la più ampia sfera privata dell’utente che, al prestare il proprio consenso nella navigazione, mette a disposizione del fornitore del servizio, informazioni sensibili e personali, rientranti nel riconosciuto diritto alla privacy.

La “Patrimonializzazione” dei dati personali

Questione ampiamente dibattuta nei tempi più recenti è infatti il crescente fenomeno di data marketing e data profiling: se un tempo infatti le aziende conducevano indagini telefoniche per conoscere, comprendere ed adattarsi ai propri clienti affezionati e non, ad oggi la mole di dati raccolti è una miniera d’oro (gratuita) per le indagini di mercato e la “profilazione” dei consumatori.

Secondo alcuni, le finalità del trattamento dati connesse al marketing e alla profilazione sono tra loro strettamente connesse e, in particolare, la profilazione, più che una finalità, costituisce una modalità del trattamento, la quale permette il perseguimento di altre e diverse finalità, come per l’appunto quella commerciale.

La domanda che sorge a seguito ad un’attenta riflessione è tuttavia particolarmente delicata: possono i dati personali costituire “merce commerciale”, altrimenti “patrimonializzata”?

È una disputa emersa negli ultimi anni ai danni di una delle piattaforme più conosciute, il colosso social Facebook a cui viene imputato un uso improprio dei dati dei suoi utenti, venduti a scopi commerciali ai soggetti terzi connessi alla piattaforma, in quanto fruitori di un servizio (appunto, la registrazione sulla piattaforma, cui prestano consenso).

Il Consiglio di Stato sentenzia sull’«ingannevolezza e la scorrettezza commerciale di FB insita nel presentarsi agli utenti come gratis mentre, in realtà, si farebbe pagare in dati personali che sfrutterebbe poi nella dimensione commerciale». Eppure sono gli stessi legali del social network ad asserire che “I dati personali di ciascun individuo costituiscono un bene extra commercium, trattandosi di diritti fondamentali della persona che non possono essere venduti, scambiati o, comunque, ridotti a un mero interesse economico”.

Dall’analisi della sentenza dei giudici del CdS, la complessità della questione si sostanzia nella labile consapevolezza degli utenti che cedono dati contro servizi, ma inconsapevolmente, ovvero senza essere adeguatamente informati del rilievo giuridico-economico dell’adesione alle condizioni generali di contratto della piattaforma in questione, anche e soprattutto nel caso di utenti minorenni.

Senza avventurarsi un percorso troppo tortuoso di impronta giurisprudenziale, ci si potrebbe tuttavia domandare se il trattamento dei dati personali degli utenti e il rilievo economico che ne consegue daranno luogo ad un nuovo modello di business (come alcuni prospettano).

È lo stesso Garante a dare una prima risposta e a suggerire di analizzare le relative fattispecie attraverso un approccio combinato che passa per l’applicazione della disciplina in materia di privacy e della disciplina a tutela dei consumatori.

Proprio applicando la disciplina consumeristica, secondo il Garante, si può sciogliere ad esempio, «il nodo relativo alla legittimità o illegittimità della definizione di gratuito di un servizio “pagato” nella sostanza dagli utenti in dati personali benché la cessione di tali dati non possa considerarsi, in senso tecnico, controprestazione del servizio».