Il professor Zanacchi è un noto esperto di problemi della comunicazione ed è autore di numerose pubblicazioni (l’ultima delle quali si intitola “Il libro nero della pubblicità”, Iacobelli editore, 2010). Abbiamo rivolto alcune domande sulle più recenti tendenze della pubblicità e sugli strumenti per contrastare i messaggi ingannevoli
La pubblicità di oggi è più "cattiva" e "pericolosa" rispetto a quella di 30/40 anni fa? E quali sono le differenze più significative?
Il confronto è difficile, se non impossibile, non solo per l’enorme quantità dei messaggi commerciali circolanti attraverso ogni mezzo possibile e per la mancanza di un adeguato monitoraggio, ma anche perché la pubblicità è “in sé” tendenziosa, fortemente persuasoria, insidiosa non solo nei contenuti e nelle forme, ma anche nelle modalità di diffusione.
Nella sua ultima pubblicazione, Lei parla di "pubblicità prepotente": che cosa intende dire?
La pubblicità è una forma di comunicazione che tende a imporsi: non è, generalmente, richiesta e tanto meno desiderata dai consumatori e dai cittadini in generale. E’ prepotente anche in quanto “superiore agli altri”, per la sua esuberanza, la sua intrusività, la sua tendenza alla ripetitività. Tende, insomma, a costringerci alla lettura o all’ascolto a prescindere dalla nostra volontà.
Siamo sottoposti ad un "bombardamento" pubblicitario continuo, in varie forme (spot televisivi, inserzioni sui giornali, cartellonista stradale etc). Si tratta di un processo irreversibile?
La pubblicità non è solo “l’anima del commercio”, necessaria alle imprese: è anche l’anima dei media, che concorre a finanziare o dei quali costituisce l’unica forma di finanziamento e di profitto. Molti giornali, emittenti radiofoniche e televisive, ecc. nascono proprio come veicoli pubblicitari.
L'Antitrust svolge un ruolo importante per contrastare la pubblicità ingannevole. Qual è il limite maggiore di questa azione?
Alle benemerenze dell’attività dell’Antitrust si contrappone il peso delle procedure: la possibilità di ricorrere al TAR e poi al Consiglio di Stato contro le sue decisioni finisce per impoverire fortemente, ritardandone le conclusioni, la sua attività di repressione della pubblicità ingannevole.
Sul versante privato, opera l'Istituto di autodisciplina pubblicitaria: quali sono pregi e difetti di questo organismo?
I pregi sono costituiti essenzialmente dal valore delle norme contenute nel “Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale” e dalla snellezza delle procedure. Il limite più grave dalla mancanza di capacità deterrente delle condanne: la “pena” consiste essenzialmente nell’invito a interrompere la diffusione della pubblicità ritenuta contraria al “Codice”. Spesso, poi, le campagne condannate si sono già concluse al momento della pronuncia del Giurì. C’è da aggiungere che i media non danno o danno pochissimo spazio alle decisioni autodisciplinari, così come alle decisioni dell’Antitrust.
I consumatori potrebbero avere un ruolo maggiore, aldilà della semplice segnalazione, nell'attività di verifica della correttezza dei messaggi pubblicitari?
I consumatori sembrano poco fiduciosi (ma anche poco informati) in materia di repressione della pubblicità ingannevole, anche perché, come ho già detto, i media tendono a ignorare l’attività degli organi di controllo e, in generale, gli aspetti critici della comunicazione commerciale. Senza la loro collaborazione, però, non è pensabile un reale miglioramento della pubblicità dal punto di vista della correttezza e della lealtà.
Alcune agenzie pubblicitarie lamentano la possibile compressione della creatività degli operatori del settore da parte della normativa vigente. Contestando la pubblicità ingannevole si mette in discussione la loro libertà di espressione?
No. La libertà di espressione finisce quando cominciano l’inganno o le altre scorrettezze previste dalle leggi o dalle norme di autodisciplina.
Lei ha messo in evidenza le insidie della c.d. pubblicità occulta: cosa ne pensa delle recenti modifiche alla disciplina sul product placement ?
Si tratta di un cedimento che contrasta radicalmente contro la norma, già recepita nelle regole autodisciplinari e nelle leggi dello Stato in materia di “trasparenza della pubblicità”. E’ un esempio della tendenza a diminuire la tutela dei consumatori e dei cittadini.
Tra i soggetti maggiormente meritevoli di protezione ci sono sicuramente i minori. Quali misure potrebbero essere adottate per salvaguardarli meglio?
Le norme per la tutela dei minori esistono. Ciò che manca è la loro applicazione tempestiva e seria. Si può dire che, purtroppo, la tutela dei minori è in alto mare.
I messaggi pubblicitari sono in grado di incidere sui modelli di vita e culturali delle persone?
Senza alcun dubbio. La pubblicità, come ha scritto un eminente esperto americano di “strategia pubblicitaria”, Leo Bogart, non è solo una forza economica: ha anche una profonda influenza sulla cultura, sui valori e sulla qualità della vita.
Che ne pensa dell'uso spregiudicato e volgare dell'immagine della donna – oggetto nella pubblicità?
E’ uno degli aspetti più ignobili della pubblicità. Nel mio “Libro nero della pubblicità” ho dedicato venti pagine a questo tema, con immagini e citazioni che dimostrano come nella pubblicità (specie nei manifesti e negli spot) la donna sia svilita nella sua dignità. Cosa che alimenta una spirale di disprezzo che spesso concorre anche a generare violenza.
C'è una responsabilità dei mezzi di comunicazione nel proliferare di messaggi ingannevoli o volgari? Quotidiani e televisioni sono davvero "sottomessi" agli interessi degli inserzionisti?
Rispondo, purtroppo, con due “sì”. I media puntano a massimizzare gli introiti pubblicitari e, di conseguenza, ad attirare il maggior numero possibile di lettori, ascoltatori, spettatori con il ricorso agli espedienti di più facile presa: la violenza e la volgarità.
Ha avuto modo di constatare una maggiore consapevolezza di aziende ed agenzie pubblicitarie sulla necessità di una informazione corretta e rispettosa dei consumatori?
Sì, ci sono state recentemente prese di posizione da parte di pubblicitari e imprese, per una pubblicità più corretta e leale. Ma non si può parlare, in generale, di una presa di posizione estesa all’intero mondo pubblicitario.
Il futuro della pubblicità è sempre "nero" (per usare il termine utilizzato nel suo libro) o è possibile un'evoluzione positiva dell'intero sistema?
Il mio libro ha documentato la situazione esistente e i suoi aspetti “neri”, che sono molti. Si conclude, però, con una serie di aperture che chiamano in causa non solo il mondo della pubblicità (imprese, professionisti, mezzi), ma anche i legislatori, il mondo educativo e i singoli cittadini, i consumatori e i loro movimenti rappresentativi. Una decina di anni fa la stessa Associazione degli inserzionisti, l’UPA, si esprimeva così attraverso le parole del suo Presidente: «C’è bisogno di professionalità più estese, di una formazione più solida e accurata, di regole etiche e deontologiche nuove…. la crescita della pubblicità non va vista soltanto in termini quantitativi. Contano sempre di più gli aspetti qualitativi ed etici …». Fino ad ora si è trattato solo di parole.
Se volesse dare un suggerimento agli studenti (e non solo) che volessero approfondire queste tematiche cosa consiglierebbe?
Oltre alla consultazione dei siti istituzionali, come quelli dell’Antitrust e dell’Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria, e al sito dell’UPA (Utenti pubblicitari associati), raccomando il blog DIS.AMB.IGUANDO , curato dalla professoressaGiovanna Cosenza dell’Università di Bologna, che offre tantissimi spunti di riflessione.
Marzo 2012